Letture 2016 | |
Aminta |
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Amiam,ché non ha tregua con gli anni umana vita, e si dilegua.
Amiam, ché 'l sol si muore e poi rinasce: a noi sua breve luce s' asconde, e 'l sonno eterna notte adduce.
Nella vita tormentata del Tasso il dramma pastorale «Aminta» appare come una pausa - l’unica forse - di autentica felicità creativa. Il poeta Io compose nel 1573 per una festa della corte estense, e l’opera fu rappresentata, in primavera, nella villeggiatura ducale del Belvedere: il gusto della corte si risente nelle allusioni sottili a fatti e personaggi del tempo, così come la tecnica squisita della composizione, l’equilibrio delle parti, la musicalità mirabile del linguaggio, i molteplici richiami letterari, rendono il senso di una stagione di suprema raffinatezza artistica e culturale. In scena è la tenue vicenda di un idillio giovanile - l’amore di Aminta e di Silvia - proiettata sullo sfondo di quel mitico mondo pastorale ch’era divenuto ideale rifugio dell’immaginazione letteraria del Cinquecento. Ma l’artificio della finzione appare come consumato nell’incanto di un’atmosfera favolosa, in cui si effonde, suggestivo e ambiguo, il vagheggiamento di una vita immersa nella freschezza della natura e liberamente protesa al godimento dell’amore e del piacere, intuito come suprema, misteriosa attrazione dell’esistenza.
Il testo dell’opera, interamente annotato, è introdotto da un denso saggio di Mario Fubini, e corredato di un’articolata cronologia, da una premessa che dà conto dei principali motivi d’ispirazione e della fortuna teatrale dell’opera, e da una breve antologia critica. Sono inoltre inserite nel volume venti illustrazioni tratte da incisioni settecentesche di P A. Novelli.
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